Fontenay en Bourgogne

Quindicesima tappa 2024:
Fontenay en Bourgogne

Parola declinata: Regola

Dopo aver raggiunto Beaune e la Cȏte-d’Or, la quindicesima tappa è iniziata ufficialmente nella mattinata di lunedì 28 ottobre con la visita all’Abbazia cistercense di Fontenay situata nei pressi di Montbard.Fondata nel 1118 da San Bernardo, chiusa durante la Rivoluzione Francese e dal 1981 patrimonio mondiale Unesco, come ricorda l’iscrizione in marmo posta sul muro d’entrata, è una delle più antiche Abbazie cistercensi create subito dopo Cȋteaux, il primo monastero dell’Ordine.

Venduta durante la Rivoluzione come bene nazionale, Fontenay venne acquistata nel 1820 da Elie de Montgolfier, discendente degli inventori della mongolfiera, che la trasformò in una cartiera. Agli inizi del Novecento passò alla famiglia Aynard che la restaurò, smantellando la cartiera.

Immensa è la Chiesa abbaziale, oggi purtroppo totalmente spoglia ma che riesce ugualmente a ridare al visitatore l’atmosfera che si viveva qui un tempo. I capitelli delle colonne sono scolpiti in modo sobrio e rappresentano delle semplici foglie di canne lacustri: questo perché, secondo i dettami dei Cistercensi, nulla doveva distrarre l’occhio e la concentrazione degli oranti durante la preghiera. Nel transetto campeggia la magnifica statua di Notre-Dame de Fontenay realizzata in stile classico alla fine del XIII secolo, mentre nella zona dell’altare sono stati riuniti alcuni coperchi di sarcofaghi e pietre sepolcrali. Dopo la Chiesa, ci siamo recati nella fucina costruita dai monaci sul finire del XII secolo, dato che essi estraevano il minerale di ferro dalle colline circostanti. Il ruscello di Fontenay, il quale scorreproprio a lato dell’edificio, faceva girare le ruote che azionavano i grandi magli idraulici adoperati per battereil ferro incandescente. Una riproduzione al vero ricrea ancora oggi il suono metallico dei martelli e degli incudini.

Tornati a Beaune, abbiamo raggiunto l’Hȏtel-DieuMuseum, ex ospedale e ospizio di beneficenza fondato nel 1443 dal celebre cancelliere della Borgogna Nicolas Rolin e da sua moglie Guigone di Salins. Qui ci attendeva Chloé Le Brech per guidarci. Si tratta di un edificio tardo-gotico perfettamente conservato che si affaccia su Place Carnot, nel cuore storico di Beaune. Un vero e proprio ospedale per i poveri voluto dai coniugi Rolin a scopo devozionale e per lenire in qualche modo la miseria in cui era caduta la città dopo la Guerra dei cent’anni. La struttura è stata gestita fino al XX secolo dalle Suore ospedaliere di Santa Marta e la ricostruzione al suo interno della Grande corsia dei Povres, con i letti ottocenteschi e gli oggetti quotidiani a disposizione dei poveri, fa comprendere il funzionamento dell’ospedale e le cure prodigate ai malati. La Cappella, le corti, la grande cucina, la farmacia e altri interni sono visitabili e il Museo, diretto da Sandrine Allard Saint Albin,ospita anche il Polittico del Giudizio Universale, capolavoro della pittura fiamminga eseguito da Rogiervan der Weyden su commissione del cancelliere Rolin.

Sempre lunedì 28, è stata la volta alle 14.30 della visita aBeaune della Cité des Climats et vins de Bourgogne, uno speciale e ultramoderno museo dedicato al vino e alla coltivazione della vite in Borgogna, accompagnati dal direttore Olivier Le Roy. Percorsi interattivi e immersivi con filmati, immagini e mappe tridimensionali, laboratori per bambini, una terrazza panoramica, un vigneto coltivato sul tetto dell’edificio, corsi di degustazione ed esperienze sensoriali per affinare l’olfatto ci fanno conoscere in tutti i loro aspetti la vite e il vino, prodotto per eccellenza di questa regione grazie al microclima e alla qualità del territorio, oltre che alla sapienza dei viticoltori maturata nei secoli. Basti pensare che in ogni Abbazia cistercense situata in luoghi dal clima favorevole, venivano piantate delle vigne che poi si mantenevano con cura e, se possibile, si ingrandivano. In Francia, Cîteaux divenne e restò fino alla Rivoluzione Francese la più famosa produttrice di vini di ottima qualità.

I 1247 climi della Borgogna, divisi tra Côte de Beaune e Côte de Nuits, fanno parte dal 2015 del patrimonio mondiale dell’Unesco; la Cité des Climats et vins si occupa di tre siti culturali e turistici collocati in treluoghi emblematici della Borgogna: Chablis, Beaune e Mâcon.

E alla Cité, alle ore 16, ha preso avvio il convegno “Le buone regole per la sostenibilità” presieduto da Livia Pomodoro – titolare della Cattedra Unesco “FoodSystems for Sustainable Development and Social Inclusion” presso l’Università Statale di Milano – e coordinato da Claudio Serafini, Direttore di OrganicCities Network Europe.

“Il tema di questo incontro – ha affermato la Presidente Pomodoro aprendo i lavori del convegno – sottolinea l’importanza di regole ben pensate per guidare le nostre azioni nel mondo vitivinicolo, così come in tutti i settori dell’alimentazione. Oggi avremo il privilegio di ascoltare esperti di primo piano che condivideranno con noi le loro esperienze. Sono convinta che questo dibattito getterà le basi per un futuro più sostenibile per le nostre comunità locali, incoraggiando al contempo un dialogo aperto sulle soluzioni che tutti noi possiamo adottare”.

Anne Caillaud, Assessore alla Cultura di Beaune, ha portato il suo saluto anche a nome del Sindaco Alain Suguenot, ponendo l’accento sul territorio, il clima e la sostenibilità: “Tutti elementi che caratterizzano in maniera unica la Cȏte-d’Or”.

Claudio Serafini, nel passare la parola ai relatori, ha ringraziato per la visita guidata alla Cité: “E’ stato magnifico ciò che il Direttore ci ha mostrato e ho fortemente avvertito la passione, la tradizione coniugata alla tecnologia, l’empatia che questo luogo è capace di trasmettere ai visitatori”.

Nel suo intervento, Olivier Le Roy ha spiegato che cosa si intende per climat: “Il terroir può essere definito come un’area circoscritta dove condizioni naturali, fisiche e chimiche, zona geografica, temperatura e umidità permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile. Il climat è l’espressione borgognona per il terroir, che contraddistingue il luogo, la cultura del vino e la coltura della vigna… Il lavoro dell’uomo e la natura producono il vino. Il modello di viticoltura praticato in Borgogna è molto caratteristico e quella di climat è una definizione ufficiale che ha consentito a questa zona, con i suoi quasi 1250 climi differenti tra Côte de Beaune e Côte de Nuits, di essere iscritta tra i patrimoni mondiali dell’Unesco, assumendo una dimensione internazionale. Qui si trovano uniti il valore del lavoro e duemila anni di storia e cultura umana. Un paesaggio ‘vivente’, un patrimonio e un insieme eccezionale di dati che abbiamo messo in rete. Questo percorso museografico è esso stesso un contenitore unico di tradizioni, di saperi e di pratiche viti-vinicole a disposizione delle diverse generazioni, perciò è un museo a misura di famiglia, per adulti e bambini… Per questi motivi sentiamo l’importanza delle regole tramandate dalla tradizione, a cui dobbiamo la nostra esistenza e l’inserimento nella lista dell’Unesco”.

A questo riguardo, la lista comprende il centro storico della città di Digione e i Climats della Borgogna; la definizione ufficiale della World Heritage Listè: Climats, terroirs of Burgundy.

Ricordiamo che l’Unesco ha in questi anni dichiarato patrimonio dell’umanità i vigneti della regione ungherese di Tokaj-Hegyalja, le colline dello Champagne, la Valle del Medio Reno Superiore e, per l’Italia, Langhe Roero Monferrato, La Val d’Orcia e le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, visitate durante la nostra tappa a Follina.

Serafini ha rimarcato che: “Climat è una parola ‘classica’ e rappresenta la libertà di un territorio, la volontà di una vita migliore preservando la natura. Il vino non è semplicemente un oggetto, una bottiglia, ma sono le persone che vi lavorano e lo fanno seguendo un’inclinazione morale e dei comportamenti etici, oltre a regole ben precise… Il primo regolamento bio europeo su prodotti agricoli e derrate alimentari è stato emanato nel 1991 e compie oggi più di trent’anni… Penso che le regole non presentino solo una dimensione individuale ma collettiva, abbinata anche questa alla libertà di scelta. Le regole del bio sono principalmente fondate sulla cultura, mentre quelle di San Benedetto che regolano le comunità monastiche si basano sulla fede. E in tal senso è l’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco… La scelta del bio significa avere un amore molto forte per il proprio territorio e uno sguardo rivolto verso il futuro. Ritorniamo dunque alla terra, al rispetto e alla protezione della terra bandendo i pesticidi e usando le tecniche della biodinamica”.

Serafini ha poi passato il microfono ad Aubert Lefas, direttore responsabile del Domaine Lejeune a Pommard, il quale si è soffermato sul passaggio dalla viticoltura tradizionale a quella biologica.

“Il punto di partenza è proprio il rispetto della natura e degli animali… Un’esperienza sia collettiva che culturale maturata col passaggio delle generazioni e accumulatasi con lo scorrere degli anni: questa è l’essenza principale del mio lavoro. Siamo passati dalla trazione animale ai trattori, però l’esperienza di base è rimasta la stessa. La biodinamica rispetta la natura e un buon viticoltore, un buon agricoltore, deve conoscere e saper fare bene il proprio mestiere… La regola primaria è il rispetto della natura: se si va contro, essa si ribella. La nozione di regola collettiva è fondamentale per contrastare il cambiamento climatico e sono gli stessi vignaioli, cioè noi, che dobbiamo costruire le regole. Purtroppo i soldi chiamano altri soldi e l’abbiamo visto nella trasmissione degli appezzamenti di famiglia da una generazione all’altra. Il rispetto delle vecchie regole è molto importante, così come vanno evitate certe pratiche individualistiche… Oggi è difficile trovare buoni amministratori di cooperative, inoltre certe scelte politiche non consentono alle regole base della democrazia di esprimersi appieno e di tutto questo ne risente soprattutto il sistema collettivo di associazionismo. Il lavoro della vigna è un lavoro comunitario, perciò vanno sempre rispettate le regole per la salvaguardia della natura e della società”.

“Le regole sono sempre indice di democrazia: è una questione culturale e morale, non solo economica – ha affermato Claudio Serafini a chiusura del convegno. – Occorre remunerare il viticoltore per il lavoro svolto e per il beneficio che ne deriva per il paesaggio. La transizione biologica è un costo e bisogna che sia giustamente remunerato. Ed è anche un problema di responsabilità e di modello di società che vogliamo per il futuro”.

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